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CARTACEO: Intervista a Gina R.

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Intervista a Gina R.
Gina R. nasce a Pola nel 1923, da genitori pugliesi emigrati in Istria, che dopo aver lavorato come contadini, riescono ad aprire un'attività nel campo ortofrutticolo coltivando frutta e verdura in alcuni appezzamenti sopra Pola. Dopo aver seguito le orme dei genitori, Gina abbandona Pola con la famiglia nel 1947 a bordo del Toscana. Arrivata in Italia, sbarca a Venezia e da qui arriva a Torino alle Casermette di Borgo San Paolo. Nel campo profughi tornese si ferma poco tempo, e da qui si trasferisce a Montanaro, piccolo centro della provincia torinese, dove continua a vivere tutt'oggi. E' stata intervistata il 3 aprile 2009. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: dove e quando è nata?

R.:"Sono nata a Pola, il 9 dicembre del 1923."

2) Può parlarmi della sua famiglia di origine: quanti eravate, cosa facevano i suoi genitori...

R.:"I primi anni...Perché i miei non erano di Pola, erano della Puglia, poveretti! Sono venuti via della Puglia."

3) Sono quindi emigrati a Pola dalla Puglia, giusto?

R.: "Emigrati, emigrati. Si, papà e mamma hanno lavorato tanto, perché hanno detto che per un tre-quattro mesi, di seguito, portavano via i sassi dal terreno che avevano preso in affitto per poi lavorarlo."

4) Quindi facevano i contadini?

R.:"Orticoltori. Orticoltori, ecco. C'era la pioggia e bisognava essere lì per lavorare perché c'era il sole caldo, sempre. [E loro] erano sempre bagnati, sempre sudati: insomma, era una vita che nessuno può immaginare, ma dentro, viverci dentro... Quando siamo poi venuti più grandi, si era quasi invidiati, perché si stava bene, si cominciava a vivere un po' più da, come dire, meglio]. Eh, perché la mamma andava al mercato tutte le mattine a portare la verdura: alle sei e mezza partiva il camion con la verdura. Più verdura facevano, più ne vendevano! La zona [dove stavamo] era una zona ricca, militare. C'erano tante piazzeforti, soldati e marinai che partivano e che arrivavano durante la settimana, e quando dovevano arrivare la verdura doveva essere pronta. La mia mamma per poter essere utile a questi soldati, che non erano neanche lì allora, che dovevano ancora arrivare, preparava la verdura anche se non c'era nel giardino nostro, nell'orto. La comperava, l'andava a cercare il giorno prima per averne tanti quintali: perché erano tante le navi che arrivavano! [Andava] anche due volte per settimana."

5) Voi, dunque, avevate come delle serre?

R.:"Si perché poi, la mamma e il papà, vivendo, anche, hanno potuto prendere anche delle altre terre, ma gratis, nella zona di Portisela [zona militare della città di Pola NdA]. Il terreno glielo hanno dato senza pagare l'affitto, solo lavorarlo. C'erano tanti alberi di olive, poi mio papà faceva l'olio anche."

6) E invece lei Pola come se la ricorda?

R.:"Pola? Bella! Una città civile, che quando mio marito è tornato dalla vita militare, che era prigioniero e non so quanti anni è stato via, diceva: ma io la sera vado fuori e non mi dicono niente. Cioè, mi lasciano passare. E invece noi, italiani, sa, quelli che venivano da fuori...Ma non che eravamo malvisti, creda neh!, perché ci volevano tutti bene. Però c'era qualcosa a vedere e a sentire quelle persone, sembrava proprio che noi siamo quasi intrusi. Quando eravamo noi a Pola, cioè quando erano arrivati a Pola papà e mamma, io nascevo e la casa vicino all'ospedale, la Camera del lavoro, la bruciavano, era in fuoco. Perché c'era sempre movimenti. La questione del terreno redento, è una cosa molto importante, perché ogni guerra che succedeva, la vinceva una volta uno e una volta l'altro, ecco a casa mia abbiamo fatto quel concetto lì."
7) E da un punto di vista di composizione della popolazione, Pola che città era?

R.:"Pola era italiana, era italiana e forte anche! E la popolazione era, anche la gente di lì, come dire, quelle persone calme, avevano ognuno la sua casetta, tutti al suo posto: chi lavorava a Scoglio [Scoglio Olivi, cantiere navale], chi lavorava all'Arsenale..."

8) C'era dunque una componente italiana urbana. E quella croata dove viveva?

R.:"Nell'entroterra di più. Ma erano buoni anche quelli, io devo dire..."

9) E com'erano i rapporti tra la popolazione italiana e quella slava?

R.:"Fino a che io non sono andata via de Pola, tutte ste cose non esistevano! Perché ci volevano bene, ci rispettavano anche mio papà e la mamma. Era una vita quasi indifferente di quelle due contese lì, diremo così."

10) E c'era una parola usata in dialetto per definire l'altra parte. S'ciavo, s'ciavone...

R.:"Perché anche mia suocera e mio marito erano di origine austro-ungarica, ma loro hanno sempre optato per l'Italia, sempre. Non parlavano neanche lo slavo, mio marito mai sentito parlar slavo! "

11) Parliamo ora della guerra: qual è il primo ricordo che le viene in mente di quegli anni?

R.:"Della guerra...Che i tedeschi ci hanno messo fuori della villa, della casa. Perché noi abitavamo in villa Rossi, però nella parte retro, il piano terreno e il retro. La villa era del dottor Rossi, e quindi dietro questa abitazione c'erano non so quanti chilometri di terra per essere lavorata. E mi ricordo che mio fratello andava non so quanti metri [giù] nel pozzo a prendere l'acqua per bagnare la verdura. Perché avevamo messo il motore nel pozzo, per gavare l'acqua, no? E allora avevamo fatto in modo di mandare l'acqua fino sopra dalla parte della pineta di Siana. E lo avevamo fatto per avere la comodità di non pagare l'acqua, perché sa che l'acqua all'epoca costava. La cosa che mi ha proprio tanto, tanto [colpito], e che sono rimasta anche un po' shoccata, [è stato quando] i tedeschi ci hanno messo fuori dalla villa. Ci hanno messo fuori. Mio papà, lavorando, aveva fatto delle piccole baracche per mettere le patate e la verdura da una parte della villa. C'era il cortile grande, che oramai c'era già piazzato il cannone dei tedeschi, e mio papà le ha detto [al comandante]: lasciatemi almeno dormire lì. In queste baracche noi si dormiva. E mi ricordo sempre questo comandante: un giorno io ero sola a casa, non c'era né mia mamma né mio papà e nemmeno i miei fratelli che erano in guerra, tutti e due. E quel comandante - per carità, più che rispettabile, sarà stata una persona anche molto intelligente - aveva detto che aveva bisogno di una donna. E io ero ragazzina, e le ho detto: guardi, forse lei ha sbagliato persona, per cortesia! Mi capisce? Perché poi avevo paura, avevo una paura da matti! Forse ha sbagliato persona! Guardi, lì [dal mio vicino] c'è della gente bella e brava. C'erano le figlie di M., il mio vicino, ed io invece ero una ragazzina, e anche piuttosto alla buona! Sa, non ero di quelle... Ma quel comandante che ha messo fuori mio papà e mia mamma dalla casa, dice: qui ho trovato, forse... Sa com'è, no? Però io, piangendo, le ho detto quello. E di quello sono contenta, di essere stata un po' precisa nella cose, perché la paura fa novanta!"

12) E invece senta, delle bombe che hanno colpito Pola lei ricorda qualcosa?

R.:"Eh si, il primo: c'erano settanta e quanti morti quel giorno. Eh, mi ricordo si ,caro!"

13) Ecco, cosa si ricorda?
R.:"La prima [cosa] che mi ricordo è che mio suocero era custode al Cantiere Venezia Giulia. E alle due del pomeriggio suona l'allarme. Io ero in Siana, figuriamoci, c'era un bel sole, era caduta la prima neve. Era nel '45. E hanno mitragliato al Cantiere Venezia Giulia che era alle Baracche [rione popolare di Pola] , e lì hanno ucciso otto uomini, via la testa! E tra questi c'era anche mio suocero. E mi ricordo sempre, che non è venuta mia suocera a dirmelo, [ma] è venuta una sorella di mio suocero che abitava lì in città. E [mi] dice: guarda che io non ho detto neanche niente a tua suocere perché non ho coraggio, vai tu. Credeva che io fossi abbastanza in gamba di andare da mia suocera. Eh ben, allora sono andata da mia suocera. Ma era abbastanza coraggiosa quel giorno, ero più spaventata io che lei! Mia suocera mi ha detto: ti ringrazio e penseremo anche a seppellirlo. E a tutto questo ho poi dovuto pensarci io. E sa quanti giorni non ho dormito solo per quella cosa? Per tre o quattro giorni tremavo de note, tremavo e non dormivo più!"

14) Lei quindi si ricorda anche i rifugi...

R.:"Eh, i rifugi...Mio papà aveva fatto un rifugio sotto terra nel giardino, nell'orto, e sa cosa ci hanno mandato giù? Uno di quegli affari pesanti, di cemento, lunga quattro metri, di cemento! Perché loro fotografavano in alto, vedevano la gente. Noi eravamo anche gente che si, si, si andava al rifugio, però poi, sa com'è, si stava anche fuori a vedere , eh!"

15) Parliamo ora delle foibe. Lei quando ne ha sentito parlare per la prima volta?

R.:"Eh, delle foibe...Si, si, saranno stati cattivi anche i fascisti, senz'altro, ma poveretti, che brutta cosa!"

16) E lei sapeva che esistevano queste foibe oppure ne è venuta a conoscenza dopo?

R.:"Io sapevo che esistevano queste porcherie...Ecco, vede che odio che c'era, poi. C'era una famiglia [D.] che le hanno portata via il marito di notte. Era gente abbastanza benestante, come dire. Questa famiglia era gente che faceva il suo lavoro, la figlie erano maestre. Però hanno sofferto, le hanno portato via il papà a queste due ragazze. E la mamma che... Guardi, non c'era più vita, povera gente! Lì anche quando è successo quello, mi ricordo che la gente era spaventata. Sa, cosa vuole, tutti speravano di non dover andare via, tutti speravano. Ma, le ripeto, c'era una desolazione quando che si cominciava a sentire queste cose, perché la gente era spaventata. Dicevano: ma, quello lì lo hanno portato via stanotte, quell'altro lo hanno anche portato via. E lì poi io cominciavo a capire che forse, non so, forse la classe più benestante delle persone e delle famiglie era più in pericolo degli altri. Ma lo pensavo io, può darsi che sia un mio pensiero. Ma [comunque] c'era un disastro anche per tutti: c'era un disastro per tutti. Perché torno indietro, adesso, e le racconto un episodio che è successo. Vicino a casa nostra una notte, nel tardi [a tarda ora], sentivo delle urla e delle grida, [che] saranno state distanti da qui come sulla strada principale[pochi metri]. Sentivo una donna urlare: siamo usciti fuori di casa, e abbiamo visto che le avevano pestato il marito. Sono andati in casa in due o in tre, i titini, e le hanno pestato il marito. Lo hanno proprio [picchiato]."

17) E lei se lo ricorda l'arrivo dei titini a Pola?

R.:"Sto pensando...Ricordo quando sono andati via, dopo trenta giorni,...ma, non so..."

18) Non importa. Parliamo ora dell'esodo. Lei quand'è che va via?

R.:"Io parto nel'47, con la prima, prima nave, col Toscana."
19) Posso chiederle che ricordi ha di Pola durante l'esodo?

R.:"Si andava via da Pola, e i vecchietti baciavano la terra, c'era da piangere! Una tristezza enorme."

20) Posso chiederle come mai la sua famiglia ha deciso di partire? Quali sono state le cause che vi hanno spinto a prendere questa decisione?

R.:"Eh, le cause era che l'Italia aveva perso. Perché abbiamo venduto i cavalli, abbiamo venduto tutto quanto, abbiamo venduto si direbbe la vita. C'erano lacrime, tante lacrime. Papà e mamma, guardi, sono morti venti anni prima. Perché essere giovani è una cosa, andare via da casa, ma essere vecchi è [triste]."

21) Ma quindi, in sintesi, voi perché siete andati via?

R.:"Perché, perché... Per l'italianità. Perché, guardi, cantavano in slavo [dicendo] dove andate adesso, e questo lo capivo io. Qualche druso [cantava]."

22) Lei riesce a raccontarmi il suo viaggio? Cioè, lei parte da Pola col Toscana e dove va?

R.:"Si fermava, il Toscana via mare, dove qualcuno aveva da scendere, perché si capisce... Certi, per esempio sono andati a La Spezia. Mio marito [invece] è venuto qui in Piemonte con la speranza, più ardua, di essere assunto alla Fiat. Io son venuta subito alle Casermette, dopo aver sbarcato a Venezia, e da Venezia, col treno, siamo venuti a Torino. Quando siamo venuti a Torino, c'erano i comunisti che ci davano... Nono so perché, ma non ci volevano a Torino. Però tutti siamo stati zitti, cosa vuole. Lì è una cosa che... Diciamo così, che quelle cose lì sono cose personali, che ognuno è fatto alla sua maniera, ognuno ha i suoi pensieri, ognuno ha la sua libertà, chi meno e chi più. Ma, non so cosa dirle..."

23) Lei arrivata a Torino dove va?

R.:" A San Paolo, [alle Casermette]. "

24) E lei come le ricorda le Casermette?

R.:"Le abbiamo poi ricordate così: c'era la Giuliana, la figlia del dottor L., che usciva dalle Casermette quando io sono arrivata. Era lì che portava la roba sporca di una mamma giovane che aveva partorito, e questo me lo ricordo bene. C'erano dei divisori che ci siamo poi [fatti]. Qualcuno li aveva già fatti, e quando si arrivava ognuno cercava di [farseli]: [ci dicevano] qui avete le coperte, qui avete i cosi e così."

25) Lei alle Casermette riceveva dei sussidi o degli aiuti?

R.:"Ah beh, questo lo sapeva mio marito... Lui si che prendeva, gli davano 150 Lire [al giorno] , e qualcosa prendevo anche io però, neh! Marito e moglie [ricevevano un sussidio]."

26) Lei ricorda se alle Casermette ci fossero delle strutture interne come un asilo, una scuola, un'infermeria...

R.:"io le dico la verità, questo non posso dirlo. Perché la signora che mi aveva poi conosciuta, questa figlia del dottor Labor, che veniva a farci catechismo in Siana, io l'ho poi ritrovata alla Casermette. E l'ho vista che faceva delle opere tanto buone, come portare della roba sporca a casa, perché c'era una mamma in maternità, visto che era nato un bambino, o una bambina. Però poi dopo, stando lì, ho saputo che questa signora portava le robine sporche a casa perché questa profuga ha avuto la bambina, e quella signora mi diceva: guarda, per adesso cerché de star, cerché de accontentarve, poi dopo cercheremo qualche posto dove mandare questi profughi. E un giorno mi dice: ti andria a Montanaro, ti andrebbe a Montanaro? Guardi signora, io non so neanche dov'è Montanaro, le ho detto. E il figlio più vecchio - adesso ha sessant'anni - mi ha detto. Sti contadini, sti piemontesi...Non gli piaceva tanto, tanto per capirci."

27) Da Torino lei viene quindi qui a Montanaro. Come mai?

R.:"Eh, perché la signora mi ha detto andate lì e state lì..."

28) Ecco, ma chi era questa signora che le ha detto di andare a Montanaro?

R.:"Giuliana L., la figlia di un dottore [di Pola] che ci ha mandato qua."

29) Benissimo. E qui a Montanaro voi dove siete stati sistemati?

R.:"Eh, la signora mi ha mandato a Montanaro perché aveva un'amica a Montanaro. I C., che sono i padroni di una villa. Vicino alla chiesa c'è un'abitazione abbastanza riservata e io lì ho sempre visto solo signori di Torino. Ma io non ero a casa loro, no, per carità Io andavo in chiesa e vedevo questa signora C.. Io stavo invece in via Caffaro."

30) E la casa dove abitava era del Comune?

R.:"No, no, pagavo l'affitto. I primi, primi giorni che sono arrivata a Montanaro mi hanno messo vicino alla stazione, che la proprietaria [della casa] era una signora che aveva il tabacchino, e ho pagato anche la luce in quei giorni, perché non c'era niente dentro, però gentilmente [c'era] qualche persona dell'Azione Cattolica che si prendeva cura di queste persone. Un pochino cura, perché ci mettevano lì e ci dicevano: voi potete stare qui. Era una cascina vuota, e siamo stati lì, senza bicchieri e senza posate. E ci facevamo anche il caffè con una tola di latta, tanto per dirle. E' rimasto il ricordo..."

31) Posso chiederle come è stata accolta a Montanaro?

R.:"C'era la neve, ed era bellissimo. Perché siamo stati accolti dalla Casa Madre di Montanaro, dalle suore. La popolazione [invece], beh, insomma, ci guardavano..."

32) Ecco, mi racconti questo...

R.:"Eh, ci guardavano...Io non voglio dire che non ci hanno accolto bene, perché sa, cosa vuole. Si, qualcuno magari avrà detto [qualcosa]. Perché per esempio, io quando ero a Montanaro c'era anche una donna di Napoli. E quando abbiamo fatto, non so, cento passi a piedi, c'erano due o tre camion che caricavano della roba e ci dicevano: Montanaro calabrese o Montanaro napoletano. Insomma, volevano un po' farci capire che siamo profughe, capisce?"
03/04/2009;


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Miletto Enrico 20/08/2009
Pischedda Carlo 02/11/2009
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Ultimo aggiornamento: mercoledì 30/1/2019