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CARTACEO: Intervista a Anna Maria P.

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Intervista a Anna Maria P.
Anna Maria P., nasce a Valle d'Istria nel 1942. Il padre è impiegato presso il locale Consorzio per la coltivazione del tabacco, mentre la madre è casalinga. Parte dall'Istria con la madre e la sorella nel marzo del 1947. Arrivata in Italia resta qualche giorno a Trieste, prima di raggiungere il padre nella provincia veronese. Nel 1949 va a Venezia in un collegio dell'Opera Nazionale per l'Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati, che lascia ogni tanto per brevi periodi quando si reca dai genitori trsferitisi, nel frattempo, alle Casermette di Borgo San Paolo di Torino. Nel 1954 si trasferisce definitivamente nel capoluogo piemontese andando ad abitare prima alle Casermette e in seguito a Lucento presso il villaggio giuliano di Santa Caterina. Impiegata in varie aziende cittadine, vive a Torino dove è stata intervistata il 25 maggio 2009. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: quando e dove è nata?

R.:"Sono nata il 22 dicembre 1942 a Valle d'Istria".

2) Può parlarmi della sua famiglia di origine?

R.:"Erano contadini, mio padre soprattutto. Però poi mio padre, oltre che lavorare la campagna di famiglia, perché erano tanti fratelli, aveva trovato un posto presso il Consorzio della lavorazione dei tabacchi: quindi era stato fortunato, perché avevamo uno stipendio fisso. E lui organizzava la coltura del tabacco, dalla coltivazione fino all'essiccazione."

3) E poi da Valle il tabacco andava nelle manifatture?

R.:"[Andava] da qualche altra parte, non so dove. So che in casa mia si parlava sempre di finanze, che sarebbero i finanzieri, le finanze, perché a un certo punto della lavorazione [mio padre] mi ha poi spiegato che...Perché poi mio padre ha continuato a farlo anche in Italia questo lavoro, in provincia di Verona, e mi ricordo che, mi raccontava di queste qui, perché quando il tabacco veniva secco - era stagionale no la lavorazione - e quindi venivano tutte le ragazze dal paese all'essiccatoio, che si chiamava le baracche perché, appunto, c'erano tutte le baracche dove mettevano ad essiccare e c'era la casa e in queste baracche essiccavano [il tabacco] e venivano le ragazze - giovani, erano tutte donne - che lo infilavano su una stanghetta di legno, su un bastone con il filo e l'ago, appendevano tutte queste foglie e poi lo mettevano ad essiccare. Quando poi era essiccato dovevano fare l'imballaggio, e quando facevano l'imballaggio, la pesatura e tutto, c'erano i finanzieri che venivano a sovrintendere tutto lo stoccaggio, non so come chiamarlo!"

4) E da un punto di vista economico, Valle che cittadina era?

R.:"Agricola, agricola, si, si, prettamente agricola. L'olio e il vino, più di tutto."

5) Quindi non c'erano fabbriche...

R.:"No, no, assolutamente. Quelli che non lavoravano i campi, cioè c'era il fabbro, il pittore, che li chiamavano gli artisti, quelli, cioè quelli che avevano un'arte, non un lavoro. Arte, tra virgolette!"

6) E quanti abitanti avrà avuto Valle?

R.:"Oh, un mille abitanti penso, non di più."

7) E da un punto di vista della composizione della popolazione che città era?

R.:"Allora, Valle, proprio il nucleo di Valle, quello che era il castrum Vallis era per la maggioranza italiana, e quelli che erano croati erano nelle frazioni. C'è un libro spesso così - non so se l'ha visto - di Alberi, di uno che si chiama Alberi, che parla di tutti i comuni dell'Istria e dice che Valle, per estensione, era uno dei comuni più grandi. E in giro, nelle frazioni, che le più importanti erano Carmedo e Moncalvo - che adesso non so come si chiamano - lì erano croati, erano in maggioranza croati."

8) E posso chiederle com'erano i rapporti tra la componente italiana e quella croata? Perché, vede, io mi sono fatto una mia idea, forse sbagliata, che è quella di due mondi che procedono in direzione parallela senza mai toccarsi o che, quando si toccano, arrivano facilmente a un cortocircuito...

R.:"Ma, non lo so, perché in genere, mia madre...Io le premetto che son venuta via che avevo quattro anni, quindi tutto questo [che le dico] arriva dai racconti di mia madre e di mio padre. Quando siamo tornati [a Valle] la prima volta che mi pare non ci fosse bisogno del visto, non so se era il '65 o il '66, non lo ricordo, mia madre mi presentava tutte le sue comari. Le comari sono, come dire, [le donne] di cui mia madre era madrina della figlia. La madrina da noi si chiama santola e santolo è il padrino. E allora lei aveva un sacco di figliocce tra gli slavi, quindi c'erano delle persone - e potrei anche dirle dei cognomi e dei nomi - che son venute a trovarla. E, almeno per quanto riguarda noi, cioè la mia famiglia, eravamo in buoni rapporti. [Mia madre] diceva: vedi questo, veniva giornader, che giornader vuol dire giornaliero a lavorare la campagna di papà. Insomma, almeno, noi come famiglia abbiamo sempre avuto dei buoni rapporti. Anche perché il papà di mia mamma, mio nonno, si diceva che andava anche in mezzo agli slavi a fare commerci, a vendere formaggi, ricotte e queste cose. Quindi io non posso dire...Cioè per quello che so io, io ho sempre avuto rispetto per queste persone. Anche se, qualche volta, c'era si un certo distacco. Questo che le ho detto riguardava la mia esperienza familiare personale, però c'è sempre stato un po' di distacco, un po' di astio, ma veniva da lontano, ancora dall'Austria Ungheria, perché erano privilegiati gli slavi rispetto a noi, quindi invece che insegnarci a convivere...Perché poi, io dico che gli slavi erano più fortunati perché sapevano due lingue, invece noi non ci insegnavano il croato, capito?"

9) Lei mi ha parlato di distacco e di astio, che forse può essere tradotto con una parola ben determinata in dialetto, e cioè s'ciavo...

R.:"S'ciavo, s'ciavone, è proprio dispregiativo! Ma tant'è che c'è anche a Venezia: la Riva degli schiavoni che cos'è se non quello? Ed è veramente un mopdo [di dire] dispregiativo, assolutamente. Poi per quelli che non trovavano moglie nel paese [si diceva]: ah, s'è anda a trovase una s'ciavona, no? Per dire uno che non si sposava con una del paese, che la trovava fuori fuori o nei dintorni, [si diceva]: ah, se g'ha sposase con una s'ciavona! Non si dice con tizia o caia, ma con una s'ciavona e basta. Quindi no, un po' [di astio] c'era. Però io non so, con le famiglie io son rimasta a vedere questo affetto che avevano ste persone verso la mia famiglia. E in questi tempi, che io ci sono andata per tanti anni d'estate così, c'era una signora, una vecchietta che si chiamava Fosca, che era una persona stupenda. E, appunto, veniva il marito a fare il giornaliero da mio padre e aveva dei bei ricordi. E infatti si lamentava del regime [titino] , perché tra di loro queste lamentele non [potevano farle]. Non dovevano lamentarsi liberamente, insomma [era] così. E poi si ricordavano tutti di mia nonna, la mamma di mia mamma, [di] quanto era brava, eh..."

10) Il periodo fascista, per ragioni anagrafica non lo ha vissuto direttamente. Le hanno però raccontato qualcosa in proposito?

R.:"Guardi, facevamo una vita talmente semplice lì, che io penso che di politica e di ste cose non ci siamo mai interessati."

11) E della guerra cosa ricorda?

R.:"C'è un episodio che ricordo bene. Ricordo benissimo come se mi fosse successo ieri, che avevano preso uno che era considerato fascista. Cioè non guerra, ma un episodio di quel periodo. Comunque lo avevano preso, e in pratica lo avevano ammazzato di botte. Poi questo era riuscito a sottrarsi in qualche modo, e credevano che fosse scappato in casa mia. Io ero con le mie tre sorelle - eravamo in quattro sorelle - dal davanzale della finestra. Noi eravamo al primo piano di una camera che dava proprio sulla piazzetta e ho visto proprio puntare il fucile così e sto fucile ha sparato! Due [sorelle] si son nascoste sotto il letto, l'altra si è buttata sopra di me e siamo state giù, e poi però dopo c'era la pallottolina lì nel muro, eh! E io per gioco andavo col ditino a giocherellare in quel buco. Quello lì non lo dimenticherò mai! Questi qua erano i drusi - noi li chiamavamo i drusi - e il signore che poi, poverino, ha fatto una brutta fine, perché poi l'han trovato, l'han preso e lo han fatto morire. Si chiamava Guido, e non so, questo è un episodio ben dentro la mia memoria: così come ho la memoria del giorno della partenza, [questa scena] me la rivedo tutta come in un film, la rivedo proprio tutta, tutta."

12) E Valle è stata bombardata?

R.:"No, no, mai."

13) A Valle, e me lo ha confermato lei prima, c'era molto vino, molto olio che in tempo di guerra costituivano beni preziosi per la borsa nera. Ecco, posso chiederle se le hanno raccontato qualcosa a proposito della borsa nera?

R.:" No, cioè si sapeva che [c'erano] quelle che facevano le strozzine, le chiamavano. Potrei dirle nome e cognome, però non era tutto il paese! Andavano a vendere...Andavano a piedi a Pola sa? Erano venti chilometri!"

14) E come mai le chiamavano strozzine?

R.:"Eh, strozzine perché [facevano] strozzinaggio!"

15) Ho capito. Lei mi sembra che abbia alcuni ricordi precisi della guerra. In questi trovano spazio anche i tedeschi?

R.:"No. No, no, no. Io ho questo netto ricordo [che le ho raccontato prima] e poi mi ricordo anche la prima volta che [ho visto i soldati titini]. Mi ricordo dei drusi, lei sa no chi sono i drusi?"

16) Si.

R.:"Ecco. Me li ricordo in questa piazza di Valle che si chiamava la Mussa che ballavano in un circolo, e questo circolo mi hanno spiegato che si chiamava kolo, e cantavano druze Tito, ohi druze Tito [continua una canzone in croato], e questo è tutto il croato che so! E questo me lo ricordo bene, e mi ricordo che si correva per andarli a vedere in questo ballo. E sai cosa mi ricordo [anche]? Degli inglesi!"

17) Ah si, gli inglesi?

R.:"Oh, che bello! Una jeep con due militari sopra ci tirava, cioè ci hanno distribuito le caramelle che si chiamavano Spolver. Buonissime, mi ricordo ancora il sapore: erano un po' come le caramelle mou, sa? Ecco , quelle lì, lo Spolver, le caramelle. E mi ricordo gli inglesi che ci davano le caramelle da questa jeep che era ferma lì, sempre in sta famosa piazza lì dove c'eran due alberi. Erano fermi lì e non so io, con le mie due sorelline siamo andati a vedere come o non come e ci davano le caramelle. Poi non so...Ma non era[no] una truppa: erano due, tre, quattro forse, in una jeep e basta. E non so in quanti c'erano [a Valle]."

18) Torniamo un attimo a parlare dei titini. A voi che effetto facevano?
R.:"Mah, io ero un po' angosciata. Ecco, mi ricordo anche di una notte che sentivo un trambusto. Io ero da sola che dormivo in una cucina grande, perché in casa nostra c'era della gente che stava in affitto, e tra questi c'era una famiglia il cui marito era militare, era nei carabinieri. E allora io non so bene se poi loro [i titini] cercavano lui o cosa, ma io so che da quella volta non ho poi più visto neanche mio padre. Probabilmente c'era qualcuno che veniva a cercare: io dormivo, sentivo rumore, mi ricordo che poi mi son vista sola, sentivo il rumore, piangevo forte e mi sento ancora bagnata adesso da lacrime e da tutto quando mi vengono in mente ste cose! E non capivo bene il perché. Comunque per me quella notte è rimasta lì per tantissimo tempo, perché poi quando si era [venuti] di qua non chiedevo mai niente, mai, mai. Non ho chiesto mai niente a nessuno. Non chiedevo spiegazioni perché mi era successo un episodio a scuola - facevo prima elementare, probabilmente - dove ci avevano chiesto se sapevamo chi erano i partigiani. E io, facendo la brava bambina, dico: si, so chi erano i partigiani, erano quelli che buttavano nelle foibe! Ecco, c'è stato un silenzio glaciale, la maestra [era diventata] rossa e non sapeva cosa rispondere, e io ho capito che non dovevo più dire quelle cose lì, basta. E non ho più parlato. E questo mi era successo nel Veneto, in provincia di Verona. Quindi anche per tutte le altre cose non ho mai chiesto niente ai miei, a nessuno. Senonché dopo, ma è successo poco tempo fa, ho chiesto a mia sorella maggiore: io ricordo per un periodo, e mi sembra per tanto tempo, che non ho visto papà, che fine aveva fatto? C'era, non c'era? E èlei+ dice: sai, qualcuno ci ha avvisato in segreto che era in lista per essere infoibato, lui e i suoi fratelli, e allora cosa han fatto? Son fuggiti, son venuti in Italia e via. Quindi, così ho messo un tassello, ma le dico sarà mesi fa che ho chiesto questa cosa, non prima, eh! Era in questa lista e probabilmente doveva finire [in foiba]. Ma poi bastava essere iscritti al partito [fascista], che poi in certe occasioni bisognava iscriversi, se no non lavoravi. Che poi lui era nel tabacco. Si ma poi cosa vuol dire? Ci son delle persone che non hanno fatto male a una mosca, ma la guerra è così."

19) Parliamo ora delle foibe. Mi interessa sapere quando voi ne avete sentito parlare per la prima volta?

R.:"Non lo so, non posso dirle la cosa [data] precisa."

20) Lei però ne era a conoscenza...

R.:"Ma io come faccio a saperlo? Si io ne ho sentito parlare, però come faccio...Dico, io ero una bambina di quattro anni e mezzo...Si, delle foibe in questo senso [non so quando ne ho sentito parlare], però delle foibe sapevamo cosa fossero le foibe, questi anfratti, questi burroni, questa cavità. Infatti io anni fa sono andata in un posto in provincia di Pordenone, ad Aviano, che c'è un monte che si chiama Monte Cavallo, e lungo un sentiero, camminando, ci hanno detto: state attenti che lì c'è un burrone. Ecco, dico a mio marito, vedi com'erano le foibe? Anche qui ci son le foibe adesso! Quindi in quel senso lì si sapeva, ma nell'altro senso non lo so. Bisognerebbe chiedere a delle persone più anziane, senz'altro, a me non di sicuro! Almeno [non] a quelli della mia età! Poi c'è anche un'altra cosa che io ho imparato, e cioè che c'erano tanti slavi. Io non pensavo, credevo che la maggioranza fossimo tutti italiani, cioè avevo un'idea un po'...Certe cose le ho scoperta qua, non là, capito? Anche leggendo quel libro là di Tomizza, La miglior vita, quando parlava di queste scuola croate che venivano incendiate. Eh, insomma, ci son rimasta male, sa?"

21) Parliamo ora dell'esodo. Mi ha detto di avere ancora scolpita questa partenza. Poi le chiederò di raccontarla. Innanzitutto vorrei sapere quando è partita...

R.:"A marzo del 1947, primo esodo secondo scaglione, però il giorno esatto non me lo ricordo. E mi ricordo questo giorno anche con un po' di allegria, eh! A parte che mia madre era sola, perché mio papà era già in Italia con una [mia sorella], [mentre] la sorella maggiore era a Carrara da una zia perché doveva finire gli studi. E insomma, non so come era andata, ma mi hanno poi spiegato che mia mamma l'aveva accompagnata fino a Trieste e poi lei da Trieste si era arrangiata. Roba di magistrali...In quel periodo della guerra, andare da sola, ma si rende conto?!A quattordici, quindici anni, andare da sola fino a Carrara, non è una cosa da niente!"

22) E invece suo papà quando è partito?

R.:"E' partito prima, però adesso non mi ricordo. [Comunque] è partito prima dell'esodo, ecco, subito dopo il '45. Cioè solo che mi sembrano tempi lunghissimi, perché le proporzioni...Insomma, ero piccola, quindi non so un mese per me era tantissimo. Non riesco a dare la scansione giusta del tempo. E allora c'era mia mamma e noi due sorelle minori, e allora mi ricordo la cugina Nuccia che veniva ad aiutarla, così...Non mi ricordo il periodo dell'imballaggio, però il giorno che è venuto il carro per caricare i mobili [si]. E c'era un druzo, una guardia che sovrintendeva a quello che si caricava, e non voleva lasciar portare via [a mia madre] la macchina da cucire, e mia madre diceva: guardi che io ho quattro figlie, come faccio senza macchina da cucire? E allora [la guardia] ha avuto un gesto di umanità, ha fatto due passi guardando dall'altra parte e la macchina da cucire è stata caricata. Mi ricordo poi lì le comari, le santole, che avevano cucinato per noi e c'era questa tavola - l'ultima tavola, l'ultimo pranzo - e si è mangiato tutti i parenti possibili, no? E mi ricordo che poi si è portato da mangiare anche al druze, alla guardia. E mi ricordo che ero contenta, perché tutti mi venivano a salutare, mi sentivo molto importante, mi prendevano in braccio, cose che [non ero abituata], perché sa, i bambini in campagna mica li prendevano tanto in braccio eh! E mi ricordo che poi son venuti ad accompagnarci fino a Pola una santola di mia mamma, la quale mi ha tenuto in braccio tutto il viaggio e io mi sono addormentata e mi son svegliata a Dignano, undici chilometri [da Valle]. Ed è stata la prima volta che ho visto Dignano, un paese a undici chilometri di distanza [da Valle], e vedevo questo campanile diverso dal nostro...E poi quando sono arrivata a Pola, che bello! C'erano ancora le vetrine con le bambole, una cugina che era partita insieme a noi mi diceva: prendile, prendile...Insomma, era la prima volta che io vedevo un altro mondo, in tutti i sensi. E poi ci sono altri flash che in questo momento non mi vengono in mente...Mia mamma che salutava tutti, piangente, e io non mi capacitavo del perché si piangeva. Però c'era anche un po' di malinconia, perché io mi ricordo che da quella volta sono diventata una bambina seria, perché poi quando sono arrivata in Italia - chiamiamola Italia, anche se era già Italia lì [in istria] - in provincia di Verona, avevo molte difficoltà nel rapporto [con gli altri], mi ricordo che non sorridevo quasi, ero sempre pensierosa. E poi , strada facendo, ho capito. Perché ancora adesso per me una partenza, anche quando vado in vacanza, c'ho sempre un po' di malinconia di lasciare la casa. Mi sembra che non tornerò più, hai capito? Mi è rimasta questa sensazione, l'idea che...Anzi, lì c'era la certezza che non si sarebbe più tornati."

23) Lei è andata da Valle a Pola con il treno?

R.:"No, con un carro trainato dai buoi eh? E il bagaglio dietro, con i mobili e tutto quello che si poteva caricare, tutto, tutto. E poi a Pola lo han caricato sui treni. Poi quando sono arrivate la cose in provincia di Verona c'eran tutti i nomi, sulle sedie...Cioè, era un misto di allegria e di [tristezza]. Cioè, ero contenta perché mi sentivo coccolata, molto coccolata, però insomma...Anche questa cugina, che andava e veniva con il suo bambino piccolo e poi lei rimaneva lì e il marito era malato...Insomma, pur essendo bello, ho capito dopo che stavo male. Poi sono arrivata a Pola e si è presa la nave, il famoso Toscana."

24) E lei del Toscana ricorda qualcosa?

R.:"Eh, mi ricordo che cantavano, cantavano canzoni istriani. E mi ricordo che ci aveva accompagnato il mio padrino, che era anche mio cugino, e che a un cero punto mi ha presa su, mi ha presa in braccio e mi ha detto: la vedi laggiù? Quella lì è Valle, vedi il campanile di valle? Guarda più sotto, quelle lì son le baracche. E mi dice: guardale, perché poi non le vedrai più! E io, a dire la verità non le vedevo. Faceva freddo, mi ricordo un freddo su quella nave! E poi siamo arrivati a Trieste. E a Trieste ci han portato in un posto - lo avrà già sentito tante volte - il Silos. E al Silos ci hanno dato, mia mamma diceva ei g'han da la solferada, vuol dire che ci han dato lo zolfo, come alle viti. Per disinfettare, per disinfettarci. E insomma, era un po'...Mia madre ha sempre avuto il senso dell'umorismo, per fortuna! Però non abbiamo dormito lì [al Silos], avevamo uno zio che stava a Trieste e non so come ci ha ospitato, perché aveva una casa piccolissima e siamo andati a dormire lì. E poi il giorno dopo non mi ricordo. Il giorno dopo non mi ricordo, le dico la verità."

25) E invece il Silos lo ricorda?

R.:"Ah, tutti cameroni! Delle stanzone grandissime, squallide, con il tetto alto e le travi di legno e questa signorina - non so chi fosse - che aveva i capelli lunghi e ricci con gli occhiali spessi, che aveva una lista in mano e ci chiamava. Ci chiamava, e noi andavamo in un'altra stanzetta piccola e in pratica ci si spogliava e ci disinfettavano. Ma non uno per uno, in gruppo, con un bel po' di parenti. Che mia nonna, poverina, la mamma di mio papà, aveva ancora le mutande lunghe, e quindi era un'umiliazione! Per lei era umiliante, perché era ancora vestita con le gonne, sa come a fine '800, come venivano i meridionali. Adesso tu sei piccolo, non te lo ricordi, forse non li hai mai visti. Era vestita così, proprio come le donne sarde adesso."

26) Voi, quindi, in quanti siete partiti?

R.:"Noi eravamo un gruppo dove c'eravamo io mia mamma e mia sorella. Poi c'era la cugina Nucci e poi chi c'era? [Diciamo] che eravamo due famiglie. Si, si, due famiglie eravamo...E poi c'era anche l'altro mio cugino che ci ha accompagnato solo fino a Trieste e poi è tornato indietro, è partito poi dopo. Cioè, in quel giorno lì eravamo solo noi, praticamente. Gli altri sono poi partiti dopo."

27) Io ho in mente alcune foto dell'esodo...

R.:"Si, avevo anche io la mia valigetta con le cosettine dentro, e quello mi dava molta allegria, si, si. Poi a Verona, era per San Giuseppe mi sembra che eravamo a Verona. Cioè eravamo andati in un'azienda agricola."

28) E Valle è un paese che si è svuotato con l'esodo?

R.:"Si, completamente, si, si."

29) E si riusciva a vedere questo progressivo svuotamento?

R.:"Ma, io no perché quando c'eravamo noi eravamo tra i primi ad andare via: qualcuno era già andato, però pochi. Cioè noi di questo esodo, del famoso esodo ufficiale penso che eravamo tra i primi."

30) E nemmeno Pola l'avete vista svuotarsi...

R.:"C'era la nave piena, quindi anche loro cominciavano, si, si."

31) Ora le chiedo un'altra cosa: vista l'età lei andando via ha seguito il volere dei suoi genitori. Posso chiederle, secondo lei, quali sono stati i motivi che hanno spinto la sua famiglia a partire?
R.:"Eh, la persecuzione, la paura. Perché quando siamo arrivati a Verona - in provincia di Verona, in questo paese - che abbiam visto dove abitava mio padre che però non era ancora sistemato bene, che infatti andavamo a dormire in un albergo. Io e i miei genitori andavamo in una trattoria, un'osteria con alloggio, [mentre] le mie due sorelle dormivano in quelle due camerette [dove stava mio padre], e poi soltanto dopo ci han dato una casa con due camere e una cucina, che era già meglio. E mia madre come ha visto sta casa [ha detto a mio padre]: Piero, ma come ti fa a star qua? [E lui le ha detto]: ah, però qua dormo, è tutto un altro vivere! Perché là c'era tanta paura, c'era molta paura."

32) Paura di che cosa?

R.: "Ma, intanto la vita, intanto la vita. E poi il non voler stare sotto a ste persone, perché non è che si fossero presentata tanto bene, ecco."

33) Ora provo a ribaltarle la domanda. La gran parte delle persone, dicevamo, è andata via. Però c'è anche una parte che è rimasta. Ecco, secondo lei chi ha optato per questa scelta come mai lo ha fatto?

R.:"Ma, qualcuno perché era del partito, perché era comunista sfegatato. E qualchedun'altro perché aveva paura, perché diceva: ma, io non vado! Per timidezza, magari, qualcuno perché era troppo vecchio e non se la sentiva, qualcuno invece perché non aveva voluto scegliere, non so."

34) Comunque una componente politica nella scelta di restare secondo lei c'era...

R.:"Per qualcuno una componente politica c'era, per altri non so, magari sarà stata anche una questione di orgoglio: io non abbandono la casa dei miei vecchi, io non abbandono la mia terra. E poi, poverini, hanno passato le loro, anche quelli che son rimasti lì."

35) E della vostra famiglia son partiti tutti?

R.:"Tutti, tutti, non è rimasto nessuno. Dei parenti stretti nessuno. Sai, io ricordo ancora che qui in Italia non è che si stesse bene subito dopo la guerra, però mi ricordo i pacchi che mia madre mandava a una sua cugina che stava dall'altra parte, perché non avevano niente. Mi diceva, questa cugina, che la riempiva le magliette, roba usata anche. Le riempiva i taschini delle magliette di filo e di aghi, perché non avevano niente, né ago e né filo, una miseria assoluta c'era in Jugoslavia in quel periodo, ma veramente tanta! Poi la terra che nessuno la lavorava, non c'erano commerci, tutto nazionalizzato...Eh..."

36) Le chiedo ancora una cosa sulla Jugoslavia. E cioè, con l'avvento di Tito mutano un po' di cose, e parlo delle abitudini fino ad allora collaudate da parte della popolazione italiana, come ad esempio, andare in chiesa, festeggiare natale e pasqua...

R.:"Guardi che ad esempio in Croazia, quella che adesso è Croazia, anche sotto Tito...In Slovenia il natale lo festeggiavano, lì no, assolutamente. Solo capodanno, niente altro. Andavano tutti a messa di nascosto, anche lì i sacerdoti l'hanno avuta dura, non è che sia stata una cosa da poco. E poi anche quelli che andavano a scuola...Ho letto un libro di recente, di una ragazza dell'alta Istria, di Stridone. C'è la storia della sua famiglia, dal '15-'18 ai nostri giorni. Adesso questa lavora a Trieste, e però quando era piccola la sua famiglia, che erano socialisti - ,a socialisti non comunisti, proprio socialismo europeo - avevano deciso di restare lì, dicendo: in fin dei conti noi non abbiamo fatto niente, perché dobbiamo andare via? Poverina cosa non ha passato a scuola questa ragazza! Picchiata a sangue dal maestro, mica scherzi! Proprio perché italiana...Insomma son cose che veramente..."

37) Tornando all'esodo e riassumendo, il suo percorso è stato Valle , Pola, Trieste e poi Verona, anzi in provincia di Verona...

R.:"Si, Pontepossero di Sorgate, che lì il mio papà era andato a lavorare in un'azienda agricola che coltivava tabacco, era il suo lavoro. E mia mamma invece...Lì eravamo vicini a Isola della scala, dove c'è il famoso riso vialone nano, e mia mamma ha lavorato anche in risaia."

38) Mondava?

R.:"Si e le mie sorelle d'estate infilzavano il tabacco, facevano le stanghette di tabacco."

39) Suo padre come mai è finito a Pontepossero?

R.:"Mah, il direttore del consorzio che era di Parenzo, perché era Italia, aveva trovato questo posto a verona e allora mio papà è andato là. Però io lì ho fatto la prima elementare, e poi mi hanno messo in collegio."

40) E che effetto le ha fatto essere catapultata in provincia di Verona? Cioè, c'è stato anche un trauma?

R.:"No, cioè insomma un po' c'è stato. Però c'era differenza, perché ci guardavano tutti, come ci vestivamo. Mia nonna Eufemia sapeva leggere e scrivere, lì invece no. Per dire, che c'era un po' di differenza. Poi noi ci sentivamo diversi, un po', da loro. Anche perché noi avevamo sempre lavorato sul nostro, non eravamo andati a lavorare la terra degli altri. Bisognerebbe chiederlo ai miei genitori, questo. Io ricordo che in casa, anche un po' per ridere, dicevamo: ma qui questi hanno tutti un cappello largo, le donne e gli uomini. E noi si diceva: si, perché gli serve sia se c'è il sole, sia se piove. E poi non lo so...Le mie sorelle andavano a scuola, però lì non c'era una scolarizzazione [alta]: finivano le elementari e poi andavano tutti o nelle stalle o nei campi a lavorare. Cioè il padrone lì dell'azienda agricola era un po' come quello del film Novecento: era un'azienda agricola di questo tipo, [dove] il padrone faceva quello che voleva. Infatti il padrone vedendoci leggermente un po' più avanti - adesso io non voglio dire che eravamo meglio o peggio - avevano chiesto ai miei genitori se mandavano una delle mie sorelle a lavorare da loro, in casa. E i miei genitori [avevano detto]: no, no, mia figlia a far la serva [non ci va]! Però so che eravamo amiche delle figlie del padrone, e invece le altre [bambine] no. Doveva forse esserci un motivo."

41) E l' voi dove siete riusciti a trovare una sistemazione?

R.:"No, ecco, i primi tempi, fin quando l'azienda agricola non ci han dato una casa, i miei genitori dormivano in un albergo, e portavano anche me: dormivamo nel lettone, tutti e tre, e niente. E poi dopo c'è stata la casa. E lì ho imparato subito ad andare in bicicletta, da uomo, andavo sotto la canna, tutta storta! Andavo in bicicletta, perché lì ci si muoveva solo con la bicicletta, non c'era nient'altro! E poi veniva tutte le domeniche a trovarci una cugina, che era partita insieme a noi e che era in un'altra azienda agricola un po' più lontano, e allora tutte le domeniche, con qualsiasi tempo, lei veniva a trovarci, anche per parlare."

42) Mi diceva che lei lì è stata fino alla prima elementare?

R.:"Si, finita la prima elementare, nel '49, siamo state in collegio: io e la mia sorella Irene siamo andate a Venezia, poi c'era un 'altra sorella che era in un altro collegio a Venezia. Io e mia sorella Irene eravamo in un collegio insieme, invece la maggiore era in un altro, e al seconda figlia era andata a lavorare presso una famiglia di dalmati, di nobili dalmati, sempre lì a Venezia. E noi invece [in collegio] eravamo tutte profughe, tutte, non c'era distinzione."

43) In che senso?

R.:"Nel senso che eravamo tutte di Fiume, di Pola e di Zara, e poi c'era qualcuno del Dodecanneso, di Rodi, qualcuna che era venuta da Cipro. Una si chiamava M., e sapeva parlare greco e veneto, naturalmente! Io ho imparato la storia, cioè poi studiando storia hom capito com'era la questione, perché c'erano ragazze di Fiume che parlavano tedesco...Insomma, dopo ero contenta, dopo, però lì non mi piaceva stare! Dico la verità, che non mi piaceva stare in collegio."

44) Ma era un collegio apposta per le profughe?

R.:"Si, era fatto proprio per i bambini profughi, per le bambine. So che c'entrava la prefettura, però non era l'Opera Nazionale Profughi, quelle ufficiale. So che c'erano tante ragazze che venivano dal centro profughi Foscarini, che a Venezia ce n'erano due: il Foscarini e il Giacinto Gallina. E quelle che stavano in campo profughi venivano lì. E poi mentre io ero in collegio, i miei si sono trasferiti a Torino e sono andati alle Casermette".

45) E come mai si sono trasferiti a Torino?

R.:"E, perché lì lavorare lì non era un bel vivere: cominciava l'immigrazione anche dal Veneto quella volta. L'agricoltura, insomma...Poi qui c'erano tutti i parenti. Cioè, nel frattempo gli altri venivano su e da Udine li smistavano in varie parti d'Italia, e la maggior parte dei parenti dei miei erano qui a Torino, e allora abbiam cercato di riunirci, e l'unico modo per riunirci era quello di andare in campo profughi e noi ci siamo andati."

46) E lei in collegio rimane fin dopo le elementari e le medie?

R.:"Si, si, si. E poi anche lì, le partenze..."

47) Cioè?

R.:"Eh, ogni volta che tornavo, da Torino che dovevo tornare [in collegio] era un supplizio, mi sembrava [di andare] al patibolo! No, per carità, son contenta, mi han dato una bella impostazione, però...Era un collegio di suore, e poi mia sorella che era in collegio con me si è fatta anche suora, quindi..."

48) E in collegio avevate una disciplina ferrea?

R.:"Oh si, era tutto un signor si , signor no...Non potevo mai scrivere le lettere, mai, me le controllavano. Cioè, scrivevo le lettere ma me le passavano alla censura, non potevo mai dire quello che volevo, ecco. Mi obbligavano a scrivere la lettera ai genitori e poi me la leggevano. Quindi, sotto certi aspetti, mi hanno tarpato anche un po' le ali. Però son contenta perché mi hanno messo dentro anche la curiosità, e penso [alla curiosità] di leggere libri e tutte ste cose qua. Ed è dovuto a questo fatto qua, che ero dalle suore, perché lì si leggeva. Però desideravo sempre un sacco di cose: non avevo i colori e mi sarebbe piaciuto colorare...Non so, erano anche altri tempi educativi, forse..."
49) I suoi genitori, mi diceva, vanno alle Casermette. Delle Casermette lei che ricordi ha?

R.:"Eh, alle Casermette siccome io ci venivo d'estate, allora mi piaceva, perché era tutto bello: c'erano le partite di pallone, giocavo con gli altri bambini, insomma eravamo sempre fuori all'aperto, le ha viste come sono no le Casermette? Poi facevano i tornei di pallone, poi i grandi, gli amici delle mie sorelle, che poi due erano già sposate, però c'erano i loro amici, quelli grandi che avevano già la Vespa, e ci facevano fare il giretto in Vespa. Insomma, d'estate c'erano tante attività: c'era l'oratorio dove le ragazze ricamavano e i ragazzi facevano il traforo o altri lavoretti, e poi io mi sentivo libera alle Casermette. Si andava a far la doccia - c'era l'edificio dove si faceva la doccia -, poi accompagnavo mia madre a stirare in stireria e, insomma, tutto sommato d'estate era bello. D'inverno un po' meno, ma d'estate era bello. E mi ricordo bene la messa del fanciullo: alle otto e mezza la messa del fanciullo, quindi bisognava andare ben vestiti, con il vestito stirato...E, adesso che ci penso, eravamo proprio belli! Tutti insieme, non so , mi piaceva e mi dispiaceva poi ripartire. Eravamo sempre tra di noi, ristretti, tanto che io ho provato l'impatto con Torino da grande, non da piccola. Ma da grande [vuol dire] diciassette - diciotto anni, perché [prima] eravamo sempre tra di noi, e quindi eravamo in un ambiente protetto. Cioè, sotto certi aspetti eravamo protetti e quindi l'impatto con Torino è stato poi sul lavoro e su tutto [il resto]."

50) E invece da un punto di vista degli ambienti le Casermette com'erano?

R.:"Oh, credevo che lo sapesse!"

51) Io lo so, certo, però vorrei che me lo raccontasse...

R.: "Niente, c'erano sti cameroni...C'era sto corridoio lungo, e c'erano questi cameroni da una parte e dall'altra, e ogni camerine lo avevano transennato, avevano fatto un paravento di legno. Aprivi la porta, e a sua volta il camerine era diviso in due: chi aveva gli armadi li metteva due da una parte e due dall'altra e c'era la divisione fatta. Perché, mi pare, che [le camere] fossero fatte per tre persone: tre persone da una parte e tre persone dall'altra, e chi aveva di più aveva qualcos'altro di più, [mentre] chi era solo in due aveva anche qualcos'altro di meno. Quindi mi ricordo anche con i nostri vicini, che avevamo mezza finestra a testa e, insomma, bisognava anche mettersi d'accordo per aprire la finestra, [si doveva] parlare sempre sottovoce, anzi, se non parlavi era ancor meglio! Era dura, sa? Si sentiva la radio di tutti e quella di nessuno, si sentiva litigare. E c'era tanti greci, e dicevamo: che cattivi che sono questi greci, litigano sempre! E c'era anche qualcuno che sentivi che si picchiavano tra di loro, insomma, era dura."

52) C'era proprio mancanza di intimità...

R.:"Se uno voleva parlare di segreti, doveva andare in mezzo ai prati! Veramente, si, si, [c'era] proprio mancanza, assoluta. I bagni...C'era solo il gabinetto, no il bagno. C'erano i lavandini da una parte e i gabinetti dall'altra, quelli alla turca, lunghi lunghi e tutti in fila, e noi avevamo la chiave. Avevamo [un gabinetto] per camerone: noi eravamo in due [famiglie] e allora la chiave si appendeva in un posto neutro e chi aveva bisogno andava!"

53) I suoi genitori arrivano a Torino e vanno alle Casermette. Posso chiederle come sono riusciti ad entrarci? Cioè, si è liberato un posto di qualcuno e cose simili?

R.:"No, perché c'era...Nopn so bene perché...A Torino non era semplice venirci...Non so come gli han dato un posto....So che qualcuno li aveva presi presso di se, poi a quel qualcuno gli han dato la casa, lui è andato via e loro han prso il posto. Mi para sia stata così."

54) In campo voi godevate di qualche tipo di assistenza?

R.:"Alcuni si, alcuni si. Noi no, perché non eravamo profughi a tutti gli effetti, in quanto non eravamo arrivati lì dal centro di smistamento [ma] eravamo entrati in campo profughi di nostra volontà, e allora non avevamo diritto. Qualcuno aveva il sussidio e aveva la minestra, noi [invece] non avevamo niente."

55) E i suoi genitori a Torino lavoravano?

R.:"Si, mio padre aveva trovato lavoro in un'impresa edile e andava a Roma. Doveva andare a Roma a fare lo stadio Olimpico, perché dovevano esserci le Olimpiadi. Mi ricordo - anche perché queste angosce le ho vissute sulle mie spalle - che c'erano dei problemi per la residenza, nel senso che non era poi così facile come adesso avere la residenza a Torino. Cioè in tutte le città, non solo qua. E io ero sempre in collegio, dove mi mettevano!"

56) E fino a quando resta in collegio?

R.."Fino a quattordici anni, [ci sto] per otto anni."

57) E dopo il collegio arriva a Torino...

R.."Io sono venuta a Torino e si stava ancora un po' in campo profughi, era il '53, mi pare che fosse il '53 che io avevo avuto la residenza a Torino, però son venuta nel '54 a stare definitivamente. Perché poi ho finito le commerciali qui a Torino. Poi dopo si sono susseguite tante cose, nel senso che poi hanno fatto anche ste case a Lucento e mia madre, anche lì, non era riuscita ad averla, perché c'erano prima tutti gli altri. Noi, allora, avevamo un vecchio zio che era rimasto vedovo, e non poteva più stare da solo, e allora mia madre si è iscritta dentro quella casa, poi lui dopo un po' è andato a stare col figlio e così dopo un po' la casa è rimasta a noi. Lì a Lucento."

58) Dopo anni di vita in campo profughi, avere una casa tutta sua, che effetto le ha fatto?

R.:"Per me è stato un effetto grande, però ero anche delusa, perché era piccola."

59) Mi racconti...

R.:"Era un pochetto meglio che in campo profughi, però...Cioè, diciamolo chiaro e tondo, non è che ci si stava per persona. Io, mai ho avuto una camera mia, eh, mai! La casa aveva sto ingressino, poi il tinello con un cucinino e una camera che andavi, cioè dalla cucina andavi in camera. Mi piaceva finalmente avere un indirizzo che non fosse Casermette San Paolo, ecco, quello si, dico la verità. Però, insomma, ero delusa perché era veramente piccola, si, si."

60) E invece il quartiere com'era all'epoca?

R.."[Le case erano] isolatissime. Il tram più vicino era il capolinea del 13 a Lucento, proprio dove c'è la chiesa. Ecco, lì c'era il capolinea del 13 oppure il pullman di Venaria, che passava ad Altessano. Che noi eravamo dove adesso c'è corso Toscana, grosso modo, e si doveva andare a piedi a prendere quel pullman. E quasi tutti andavano a prendere il pullman di Venaria, che poi arrivava a Porta Palazzo: faceva il capolinea non in via Fiocchetto, ma proprio a Porta Palazzo. Io poi andavo a fare i corsi di stenografia e dattilografia e di tutte quelle cose lì, e dovevo andare a prendere il 13, ma quando c'era il fango mi portavo le scarpe pulite dietro, perché non c'era né marciapiede né niente su quella strada, c'era il fango. Corso Toscana era fango, non era [mica] asfaltato. Anche noi lì, le case, non avevano il marciapiede, niente. Era proprio una cosa che io non so...Eravamo troppo bravi, non sapevamo protestare, ma veramente! Perché, bene o male, l'educazione austroungarica era quella. Senza riscaldamento [erano], anche le case, eh! Non avevano il riscaldamento, neanche il riscaldamento. "Poi non so se gliel'hanno detto. Lì a Lucento, succedeva questo: uno dei primi negozi era una latteria, e vicino c'era anche quello che vendeva la legna, per fortuna, perché eravamo senza riscaldamento. Era a metà strada tra l'incrocio di corso Toscana verso strada Altessano: ecco, lì c'era un gabbiotto, e adesso c'è una scuola, l'Istituto Pastore. Ecco, quello era il primo negozio da lattaio. Poi dopo più in qua, più vicino, è venuto fuori R. P., che ha aperto una salumeria. E lui ha incominciato a vendere capuzzi garbi [crauti]. Lui non scriveva crauti, scriveva capuzzi garbi [in vetrina]: aveva le mastelle della Zuccato, se le faceva arrivare. Poi più avanti ha incominciato a vendere il baccalà che lo faceva come lo facevamo noi. Poi c'era il forno del pane e mia madre, a Pasqua, andava a portare a cuocere le pinze. Per cui anche il contatto con la gente, cioè questi piemontesi che ci avevano conosciuti, erano felicissimi di stare con noi. Quando poi hanno aperto l'osteria, dove c'era il pane, che ancora adesso c'è un bar, era dove andavamo a vedere il Musichiere. E lì c'era uno di Dignano, che di soprannome si chiamava Penel - perché era un artista - che aveva dipinto sul muro tutta la collina di Costigliole d'Asti. Erta bellissimo! E quando stavano alle Casermette, sai dove andavano a comprarli i capuzi garbi? Andavano a comprarli in piazza Sabotino. In piazza Sabotino angolo via Di Nanni, dove adesso ci sono i taxi. Da una parte c'è Viecca, un negozio di abbigliamento, e dall'altra c'era una salumeria che vendeva i capuzi garbi, probabilmente per noi. Perché il pullman B, che si chiamava B la navetta che faceva dalle Casermette in via Veglia 44 fino a Viecca, faceva il capolinea B. E poi Viecca ci conosceva bene, perché andavano a comprarsi le stoffe: tutte le mie sorelle si son comprate le stoffe lì per farsi i vestiti da sposa o i vestiti eleganti, e c'è il figlio che adesso è già anziano anche lui, che io ho trovato una volta e non so come gli ho detto che i miei genitori andavano sempre da Viecca a comprarsi il cappotto. E lui mi ha detto: perché? Eh, perché abitavamo alle Casermette. Uh, ma che brava gente che eravate! Ne parlano tutti bene di noi, eh!"

61) Posso chiederle qual è stato il suo impatto con Torino, con la città?

R.:"Ah, dunque, io ti dico questo. La prima volta son venuti finalmente a prendere a Venezia per portarmi a casa, e allora son scesa da questo treno ed è stato bellissimo vedere il corso Vittorio, perché aveva tutte le siepi sul controviale ancora. Insomma, l'ho subito sentita, ho sentito che io questa città l'avrei amata perchè mi piaceva. L'avevo trovata bella, e poi finalmente [vedevo] qualcosa di diverso, no? Tutti sti portici...Poi mia madre andava a fare le ore in piazza Castello e per non lasciarmi sola mi portava dietro ed io dovevo anche intrattenermi con i padroni di casa. Che era un fotografo, G. si chiamava, ed era anche comunista! So che aveva uno studio d'arte, M. G. si chiamava ed aveva uno studio al secondo piano nobile di piazza Castello numero 9. E io mi ricordo sto studio, che aveva delle stanze! Perché poi lui mi invitava anche a pranzo, eh, cavolo! E aveva sto studio pieno di fotografie e aveva un arredamento stile novecento, mobili rossi e nero, ma una cosa stupenda, bellissima! L'impatto è stato quindi anche piacevole: mi ricordo, non so, quando sono andata a Superga...Poi io ero una bambina che mi piaceva la storia, quindi leggevo, e poi andavo a vedere le tombe dei reali...No, no, mi era piaciuto da matti, mi piaceva. E'stato un bell'impatto, si, si."

62) Parliamo ora dell'accoglienza ricevuta in Italia dalla popolazione. Come siete stati accolti?

R.:"Ma non lo so se ci fosse discriminazione, perché ero bambina. Ma a me non è mai successo niente. Ecco, quando abitavamo a Lucento mi vergognavo un po', perché insieme a noi c'erano anche quelli delle baracche sul Po, c'erano altre cose, cioè, come tutti gli agglomerati di case popolari sono sempre malfamati, anche se non lo sono, per dire. Cioè tutti quelli che abitano lì [erano considerati] tutti di malaffare, e allora per questo mi vergognavo un po' per l'indirizzo che avevo, avrei voluto avere un indirizzo più bello [come] qualche corso, o non so! Poi eravamo lintani da morire: ricordo la prima volta che è venuto un ragazzo a prendermi che mi ha detto eh, ma dove abiti! Ci son rimasta male...E allora, in questo senso così, perché si pensava che tutti quelli che stavano nelle case popolari fossero dei vagabondi o dei malviventi. Però per quanto riguarda la faccenda del profugo non so...Ad esempio coi tranvieri eravamo riusciti anche a fare amicizia, perché a forza di prendere lo stesso pullman ci conosceva tutti per nome, il bigliettaio. E poi, non so, con questo signore dove lavorava mia mamma che era comunista lui le diceva- perché lui era consigliere comunale e dovevano stanziare dei soldi per i profughi - : Maria, guardi che ieri sera ho votato si, eh! E lei gli diceva: guardi che a mi ei g'ha dame mai niente, non so dove van a finir sti soldi! Comunque era un rapporto anche di benevolenza, anche perché noi eravamo tacciati per fascisti, e in casa di questo signore [comunista] ci è stata per cinque o sei anni, eh!"

63) Posso chiederle come trascorreva a Torino il suo tempo libero?

R.: "Guarda, quella volta eravamo molto attaccati all'oratorio, perché c'era questo oratorio ed eravamo quasi tutte di noi. Eravamo sempre noi. Poi quando ho incominciato a lavorare nessuno mi chiedeva niente nell'ambiente di lavoro, cioè da dove venivo. Poi ci si conosce sull'ambiente di lavoro, e non ho mai avuto difficoltà in questo senso."

64) E oltre all'oratorio andava magari al cinema o a ballare?

R.:"No, mio padre non mi lasciava andare a ballare. Le poche volte che sono andata a ballare sono andata con una mia amica e i suoi fratelli e basta. Siamo andati in quello [locale] che c'era in piazza Statuto...Non mi ricordo come si chiama, ma era vicino a piazza Statuto. No, con mio padre non si andava a ballare. Poi con le ragazze che stavano lì a Lucento, ho incominciato ad andare a teatro, e andavamo sempre in gruppo, perché poi alla sera, per tornare a casa, che non c'era più la navetta che ci portava dal capolinea del 13 fino a casa nostra andavamo a piedi, ed era bellissimo, per me era stupendo. Però, come dire, di amici torinesi nella banda, nella compagnia, non ne ho mai avuti, eravamo sempre tra di noi. Poi dopo sposata, che mi son staccata da lì, ho incominciato ad avere altre amicizie, però fino a ventitre ventiquattro anni ero con le mie amiche di sempre."

65) Lei prima mi ha parlato dell'oratorio, dove c'era Don M., la cui opera di mediazione era in molti casi indispensabile per il reperimento di un posto di lavoro. Cioè, si dice che lui aiutasse i profughi a ottenere lavoro...

R.:"Eh si, mi risulta che tutti quelli che entravano in Fiat passavano da lui e quelli che non erano tanto di chiesa li stangava! Era quello, così pare, è vero. Adesso le racconto una cosa: io ero amica della figlia della perpetua - la figlia lavorava in municipio- e mi ricordo che c'erano le elezioni, e la casa del prete era diventato l'ufficio elettorale di D-C., diciamolo chiaro e tondo. E allora quando c'erano le elezioni in Fiat, andavo con la figlia della perpetua a distribuire volantini alle Ferriere; insomma facevo propaganda per la Cisl, perché doveva vincere la Cisl e sconfiggere la Cgil. Ma io tutte queste cose le ho capite dopo, lì per lì ero ingenua, mi credi che era così? Non avevo malizia, non avevo strumenti per essere obiettiva, non so io... E la casa del prete era diventata l'ufficio elettorale. Lui aveva addirittura un tabulato - e questo qui [don M.] era intrallazzato col comune- con dei nomi, e su ognuno c'era scritto s, c ed i. Cioè, c'era questa sigla qua. Ed io chiedo alla mia amica: ma cosa vuol dire? E lei mi dice: incerto, sicuro, contrario. E io ho visto un contrario su uno che conoscevo io e le faccio: ma come fate a dire contrario, questo è mica comunista! Perché i contrari eran quelli. Nella casa del prete! Io son poi entrata in crisi che non sono più andata in chiesa per vent'anni! Dopo che mi son sposata non sono più andata né a messa né niente, perché mi ha dato veramente fastidio sta cosa."

66) E' una cosa che avevo già sentito, anche ad esempio alla Superga...

R.:"Ah si, perché lì [di istriani] ce n'erano tanti. Anche perché alla Superga c'era un guardiano, ex Finanza, che si chiamava I. di cognome, che conoscevano i miei. E quando andavano a chiedere lavoro che lui vedeva che erano istriani cercava di favorirli, e li faceva entrare. Comunque io adesso ho ritrovato la fede - ma sono laica in tutti i sensi - però queste cose qui mi disturbavano, mi hanno veramente disturbata. "

67) Qual è stato il suo percorso lavorativo?

R.."Come primo lavoro sono andata alla Cinzano, come impiegata, nel '58. Sotto natale vendevano le cassette, e c'era un buono che ti dava diritto a un dono e tu sceglievi quale dono a seconda della cassetta che avevi più o meno acquistato, che era più o meno grande. E allora c'era da fare tutta questa pratica, e ho lavorato lì. Poi dopo sono entrata alla Seat Pagine Gialle, per le vie dei profughi e tutto, perché c'era il capo del personale che era amico di uno che si chiamava S., che era uno dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. E l' ci son rimasta e ho anche trovato marito!"

68) Le chiedo solo più due cose. La prima è se ritorna in Istria e che effetto le fa?

R.:"Si, io torno. Beh, la prima volta è stato molto commovente, anche la seconda e anche la terza. Insomma, mi sono sempre commossa. E poi era bello, perché mio padre mi spiegava: qui, lì, così...E' stato commovente. Però [c'era] anche un po' di ansia, perché dai racconti che avevo sentito da mio padre e anche da altri quando si trovavano, [che dicevano] eh, quella volta i partigiani ei son saldadi fora dal bosco, allora mi sembrava di vedere gente col fucile che uscisse, cioè in ogni cespuglio pensavo che ci fosse un partigiano! E non sto scherzando, eh! Niente, da quella volta l'Istria ho cominciato a rimpiangerla."

69) E adesso c'è ancora nostalgia oppure non più?

R.:"Adesso nostalgia ne ho, [ma] non so se tornerei, perché adesso non è più quell'Istria. Adesso andare al mare lì o andare al mare non dico a Rimini, ma da qualche altra parte è la stessa cosa. Invece quando sono arrivata io la prima volta, nel '66, par andare al mare a parte la strada, orrenda e brutta, dovevi farti strada attraverso i rovi e le siepi, era proprio un paradiso terrestre. E' comunque bella [ancora oggi], però adesso mi fa effetto. L'ultima sono andata nel 2002, che mio marito mi ha detto: guarda che ti ho prenotato tre giorni in albergo a Rovigno così ti togli lo sfizio. E il fatto di passare due confini, l'Istria che non è mai stata divisa nella sua storia, è stata dura. Per me è stata veramente dura. E poi son capitata a Rovigno che c'era la festa di Sant'Eufemia - che è la patrona di Rovigno- e allora sono andata in chiesa che c'era la messa in italiano, e c'era un vescovo che parlava italiano ma nera croato però parlava italiano, e dico: mamma mia, non è più l'Istria di una volta, perché sa, con quell'accento slavo - anche il papa ce l'aveva, si sentiva lontano un miglio che era slavo - cioè io li sento subito. Che parlano che sembrano sempre arrabbiati! Hanno quell'accento che quando parlano sembrano sempre arrabbiati, è vero o no? E allora così, e poi si era persin sbagliato, aveva intonato il Gloria anzichè il Credo, perchè si vede che in italiano faceva un po' di confusione...Insomma, son rimasta male. Ero commossa perché c'era gente di Rovigno che era venuta espressamente per quel giorno per andare a Santa Eufemia, ed eravamo quattro gatti, perché di rovignesi io non so se ce n'è ancora! E allora son rimasta un po' [male], per cui ho detto: penso che non tornerò più, e penso che non ci tornerò davvero. Poi anche l'ultima cugina di mia madre è morta di recente, che anche quella è una che mi ha visto nascere. Così, insomma, non è che non abbia legami, mi sento ancora legata a quella terra però non so se ci tornerò, perché ho paura che starei peggio di tutte le altre volte."

70) Le chiedo ancora una cosa. Nel corso delle mie interviste ho notato come gli esuli tendano a mantenere viva la memoria dell'sodo e delle dinamiche ad essa collegate e cerchino di tramandarla anche alle nuove generazioni. Lei ha fatto lo stesso con i suoi figli, oppure questi ultimi se ne interessano poco?

R.:"Così, così, insomma. C'era mio figlio maschio che ogni tanto parlava vallese, così per ridere e per prendere in giro...Qualcosa io cerco di raccontare, però vedo che [non interessa]. Non so, forse con la vecchiaia prendono più certe cose, perché anche io vedevo che da più giovane mi dava fastidio sempre sta solita tiritera. Poi anche mio marito che è friulano, quando veniva a casa mia [diceva]: ma si, ma i tuoi ce l'han sempre con sta guerra che li ha rovinati, ma hai visto dalle mie parti tutti quei dispersi in Russia? Però, insomma, qualche volta adesso mi porta dei libri, quindi non è che no gliene importi. Ma è perché si è invecchiati, e quindi si ha bisogno di sapere."

"Poi non so se gliel'hanno detto. Lì a Lucento, succedeva questo: uno dei primi negozi era una latteria, e vicino c'era anche quello che vendeva la legna, per fortuna, perché eravamo senza riscaldamento. Era a metà strada tra l'incrocio di corso Toscana verso strada Altessano: ecco, lì c'era un gabbiotto, e adesso c'è una scuola, l'Istituto Pastore. Ecco, quello era il primo negozio da lattaio. Poi dopo più in qua, più vicino, è venuto fuori R. P., che ha aperto una salumeria. E lui ha incominciato a vendere capuzzi garbi [crauti]. Lui non scriveva crauti, scriveva capuzzi garbi [in vetrina]: aveva le mastelle della Zuccato, se le faceva arrivare. Poi più avanti ha incominciato a vendere il baccalà che lo faceva come lo facevamo noi. Poi c'era il forno del pane e mia madre, a Pasqua, andava a portare a cuocere le pinze. Per cui anche il contatto con la gente, cioè questi piemontesi che ci avevano conosciuti, erano felicissimi di stare con noi. Quando poi hanno aperto l'osteria, dove c'era il pane, che ancora adesso c'è un bar, era dove andavamo a vedere il Musichiere. E lì c'era uno di Dignano, che di soprannome si chiamava Penel - perché era un artista - che aveva dipinto sul muro tutta la collina di Costigliole d'Asti. Erta bellissimo! E quando stavano alle Casermette, sai dove andavano a comprarli i capuzi garbi? Andavano a comprarli in piazza Sabotino. In piazza Sabotino angolo via Di Nanni, dove adesso ci sono i taxi. Da una parte c'è Viecca, un negozio di abbigliamento, e dall'altra c'era una salumeria che vendeva i capuzi garbi, probabilmente per noi. Perché il pullman B, che si chiamava B la navetta che faceva dalle Casermette in via Veglia 44 fino a Viecca, faceva il capolinea B. E poi Viecca ci conosceva bene, perché andavano a comprarsi le stoffe: tutte le mie sorelle si son comprate le stoffe lì per farsi i vestiti da sposa o i vestiti eleganti, e c'è il figlio che adesso è già anziano anche lui, che io ho trovato una volta e non so come gli ho detto che i miei genitori andavano sempre da Viecca a comprarsi il cappotto. E lui mi ha detto: perché? Eh, perché abitavamo alle Casermette. Uh, ma che brava gente che eravate! Ne parlano tutti bene di noi, eh!".
25/05/2009;


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Miletto Enrico 01/09/2009
Pischedda Carlo 02/11/2009
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Come citare questa fonte. Intervista a Anna Maria P.  in Archivio Istoreto, fondo Miletto Enrico [IT-C00-FD13555]
Ultimo aggiornamento: mercoledì 30/1/2019